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Le Specchie di Villa Castelli e gli studi del concittadino Giovanni Neglia

TERRA DI BRINDISI

Terra senza tempo

Le Specchie

SIMBOLI DI PIETRA DELLA STORIA SALENTINA

Testo di Donato Coppola

Docente di Paletnologia nelle Università di Roma “Tor Vergata” e Lecce

In foto Specchia Giovannella che somiglia molto ai nuraghi in Sardegna.

Le specchie sono tra i segni dell’uomo quelle che più caratterizzano il paesaggio naturale ed antropizzato della Puglia centro-meridionale. Se ne trovano dovunque sparse nelle campagne o sulle sommità dei “monti” a testimonianza delle attività umane sin dalle fasi più significative della protostoria. Oltre alle “specchiolle” di semplice spietramento, ottenute dal dissodamento di quei lembi murgiani calcarei ricavati all’agricoltura e danno dell’originaria macchia mediterranea, ve ne sono altre costruite dall’uomo per funzioni specifiche.

Il termine stesso volgare del lessico murgiano-salentino, ha la sua etimologia, secondo il Rohlfs, dal femminile latino “specula”, “luogo alto , osservatorio” e perdura dall’antichità ai nostri giorni, pur con molteplici significati. Già nell’età del bronzo i sepolcri collettivi delle comunità meglio noti come “dolmens”, non erano altro che camere sepolcrali costruite con ortostati e ricoperte da un grande cumulo di pietrame. Il compianto paletnologo Franco Baincofiore, instancabile indagatore delle civiltà preclassiche pugliesi, notava come “il processo di urbanizzazione degli “ethne” pastorali appeninici avvenuto per eventi di varia natura (il venir meno di condizioni favorevoli all’allevamento armentizio,ecc.) condusse le comunità pastorali appenniniche a trasformarsi in agricoltori sedentari e a portare con sè nella nuova conduzione umana l’ideologia del seppellimento collettivo, ossia di un monumento funerario riservato ai membri del ɣενоζ, distinguendo tre tipi di tombe a tumulo dolmenico. Il primo, più antico, è quello della tomba a galleria, “formata da due fila di lastroni ortostatici coperti da una terza serie di lastroni; la cosiddetta galleria, che ne risulta, era ricoperta da un cumolo di pietrame costituente il tumulo a pianta ellittica perché trattasi di una galleria più lunga che larga (“long-barrow” nella terminologia inglese)”. Il secondo tipo di sepolcro dolmenico a tumulo “è una tomba individuale costituita da una cista o cassa litica centrale composta di quattro lastre ortostatiche ricoperte da un’altra lastra contenente i resti della deposizione e del suo corredo: è ricoperto di un cumulo di pietrame mediolitico a secco che raggiunge un’altezza media di 1,90 m e un diametro medio di 25 m., a pianta per lo più circolare e talvolta ellittica quando il tumulo è andato soggetto a demolizione perimetrale per ricavo di pietrame”. Questo tipo, databile alla fine dell’Età del Bronzo, rappresenta la realizzazione architettonica dell’Ideologia funeraria delle genti ad economia e cultura subappennica.

Il terzo tipo è una forma di sepolcro a tumulo estremamente semplificata (= piccole specchie del latta) costituita di una cista litica pseudodolmenica, o di una delimitazione subrettangolare con muretto ad unico paramento lievemente aggettante. Il tumulo è delimitato da un circolo di pietrame (crepido) ben sistemato, identico ai circoli delle tombe a circolo di altre regioni dell’Italia e dell’Europa… La cronologia varia dall’VIII al IV sec. a.C… Il terzo tipo è diffuso sulle Murge pugliesi”. Negli ultimi sono state scoperte ed indagate vaste necropoli di tombe a cista litica; sono le cosiddette “piccole specchie salentine”, ben note ai margini di antichi abitati iapigi. Se si esclude quindi l’interpretazione delle specchie come monumenti funerari, già proposta dal Galateo nel 1511″ e condivisa dal Nicolucci, dal Maggiulli e dal Quagliati, resta da verificare l’altra interpretazione, quella relativa alla funzione militare delle specchie. Già il Marciano, su basi etimologiche, riteneva le specchie come antiche costruzioni con funzione di vedetta militare”, seguito dal Castromediano, che le attribuiva ai Messapi”, dal De Giorgi” che, oltre alla funzione militare, ipotizzava un uso abitativo, considerando molte specchie residui di crolli di imponenti trulli, dal De Simone considerate abitazioni dei Messapi”, da latta edifici di difesa in rovina, simili ai Castellieri illiri-co-istriani”. Anche per il Gervasio le specchie erano trulli-fortilizi edificate dai costruttori di dolmen, mentre per il Micalella erano specole militari innalzate dai pirati illirici”. Il Drago considera le specchie come aree di avvistamento, dislocate in posizione strategica. Con il Teofilato l’interpretazione delle specchie diventa più complessa, poiché vengono accolte le due ipotesi (quella funeraria e quella militare) e si delinea la connessione tra specchie e paretoni in un sistema orgamico di delimitazione dei territori”, che il Ribezzo prima collega alle lotte dei Messapi contro Taranto nel corso del V sec. a.C., in seguito ad abitati preistorici scomparsi o come vedette delle sopraggiunte popolazioni illiriche. Delle specchie ebbero ad occuparsi altri studiosi interessati alle origini storiche del Salento, ma dobbiamo a Giovanni Neglia, villacastellano, la pubblicazione dell’opera più esaustiva sull’argomento”.

Il Neglia lavorando su basi cartografiche, identifica una collocazione dei principali gruppi di specchie a corona di abitati protostorici, poi divenuti città messapiche (VIII-VI sec. a.C.) come Oria, Ceglie Messapica, Ugento, lecce. Per il Neglia questi cerchi circumterritoriali identificano “aree chiuse, indipendenti, isolate entro un vasto territorio, occupato verosimilmente da altra popolazione, etnicamente diversa, dalla quale esse erano come premute o accerchiate: insomma un carattere di confinamento di minoranze isolate. In conclusione dunque si può ritenere che le maestose specchie ormai non possano più confondersi con i monumenti funerari, ben definiti nelle loro valenze archeologiche dalle ricerche intensive degli ultimi anni. Né, come dice il Neglia, si può applicare a questi monumenti lapidei l’accezzione di megalitismo”, usata da alcuni paletnologi in senso ideologico e simbolico e tipico di specifiche categorie di manufatti. Rimane l’evidenza di questi monumenti, quasi certamente eretti nella fase iapigio-messapica, sicuramente elementi di una progettualità di demarcamento territoriale che si attua in maniera non simultanea, per cui differenti appaiono a volte le tecniche edilizie. L’acuta osservazione del Neglia che attribuisce alle corone di specchie un carattere di confinamento, più che applicarsi a minoranze isolate in senso etnico o antropologico, potrebbe riferirsi ad un’esigenza legata all’economia stessa di queste popolazioni indigene del 1 millennio a.C..

Molte specchie infatti erano collocate in posizione strategica, sulle sommità di alture di controllo del territorio, altre si integravano nel paesaggio appiattito delle valli o delle pendici, fornendo sempre un punto di osservazione elevato che permettesse agli utilizzatori di sovrastare il circondario, nel quale pascolavano greggi di pecore, mandrie di buoi e branchi di cavalli, vera ricchezza delle comunità iapigio-messapiche. Per tanto le specchie ed i paretoni svolgevano una specifica funzione di delimitazione territoriale impedendo al bestiame di sconfinare e permettendo inoltre un controllo costante con l’osservazione degli spostamenti degli animali in territori dove ancora la macchia mediterranea era estramamente svuluppata, con alberi di alto fusto che a volte impedivano un immediato avvistamento. Ciò non impedisce di ritenere che nella logica costruttiva iniziale l’elemento militare avesse avuto la sua fondamentale importanza.

Strada romana nei pressi della Masseria e di Specchia Giovannella durante la visita con l’Archeoclub di Bari “Vito Rizzi” dello scorso luglio.

Specchia Talene ubicata nel territorio di Ceglie Messapica, pur aggredita da spoliazioni moderne, conserva la grandiosità originaria nella mole dei blocchi che la compongono e che non lasciano dubbi sulla sua alta antichità. Peraltro le recenti ricerche archeologiche nel territorio circostante questa specchia, confermano la presenza di comunità pastorali già nell’eneolitico, con testimonianze di presenze culturali-funerarie in grotta ed addirittura con il rinvenimento di un ripostiglio di asce in pietra levigata, depositate all’aperto. Altri manufatti lapidei non sono che vere e proprie torri, architettonicamente concepite forse in funzione militare, con strutture in conci regolari,, come la cosiddetta Specchia Giovannella in territorio di Francavilla Fontana, databile al III sec. a.C. ed ubicata su un terrazzo che domina la sottostante pianura. Recenti ricerche di scavo hanno evidenziato tale destinazione d’uso, ma nella tradizione popolare la funzione di osservazione tipica della torre sembra condondersi con l’accezione stessa del termine specchia. Nella storia delle comuità salentine l’immagine della specchia diventa il simbolo più rappresentativo di una civiltà che sin dalle origini storiche (periodo iapigio-messapico, dal IX-IV sec. a.C.) ha edificato monumenti di pietre a secco perfettamente dissimulati nel paesaggio naturale, a tal punto da divenirne parte integrante. Il Neglia, nel suo censimento delle specchie salentine, rileva nei territori di Francavilla Fontana, Ceglie Messapica, Latiano e Villa Castelli le seguenti specchie:

•        Latiano: Specchia Colombaia (o Palombara) e del Paratone ;

•        Francavilla Fontana : Specchia Calò, Carlo Di Noi superiore, Fusi, Giovannella, Pupini. Tarantina I, Castelluzzo o Miano, Capece ;

•        Villa Castelli : Facciasquata, Puledri ;

•        Ceglie Messapica : Specchia Madonna della Grotta, Solareto, Talene o Alberosanto, Virgilio.

Di alcune si sono perse le tracce e non ci rimane che il relitto toponomastico, altre sopravvivono maestose, isolate in un territorio che, se pur antropizzato, conserva il fascino discreto di una natura nella quale l’uomo si è perfettamente integrato nel corso della sua storia.

Specchia Giovannella originariamente aveva un’altezza di m. 7 e un diametro di m. 35. Quello che resta attualmente, dopo l’asportazione del mantello superficiale, sono delle solide muraglie circolari concentriche, di cui l’ulttima, quella più interna e alta, è ancora perfettamente conservata.

Si può raggiungere Specchia Giovannella dopo 4 km da Francavilla Fontana lungo la via per Villa Castelli, svoltando a destra per la Masseria Giovannella: è a un km a Nord di questa e propriamente F 203-IV-N.0.: 25000 dell’I.G.M. YE 14.9.93.4

Specchia Puledri è posta nella parte settentrionale dell’agro di Villa Castelli F 203-IV-N.O. 25000 dell’I.G.M. 33T. YE 12.1.97.1. . Ha un perimetro di base di m. 90 e un’altezza di m. 7.

Foto di Michele Piccoli

La Specchia di Facciasquata è detta Specchia del Diavolo a causa di una legenda popolare, per la quale sarebbe sorta, all’improvviso, nel corso di una notte soltanto e quindi ad opera di forze malefiche o, appunto, del Diavolo in persona.

La struttura consta di un tamburo cilindrico, di circa 10 metri di diametro e alto 3, sormontato di un cumulo conico per un’altezza totale di circa 20 metri e che ha avvallamenti crateriformi sulla sommità. Visto che questo tipico monumento rupestre non ha porte o altri varchi di accesso, non si capisce come si accedesse al piano orizzontale e a quello superiore.

A differenza della maggior parte delle altre specchie del territorio, la Specchia del Diavolo sorge su una collina di circa 310 metri, invece che su territorio pianeggiante e, per questo, appare più alta di quello che è nella realtà. È circondata di numerose specchiolle, piccole e costruite a secco, che fanno pensare a un lavoro di spietramento del territorio.

La sua posizione geografica è F 203-IV-N.O.: 25000 dell’I.G.M. 33T.YE.10.5.98.0.

Il nome specchia deriva dal latino specula che rimanda all’interpretazione di osservatorio (vedetta) a scopo difensivo. Queste costruzioni megalitiche, sul territorio dei Messapi, erano riferimenti tra cui passavano i segnali di avvistamento di eventuali pericoli. In particolare, il nemico era Taranto, la grande città della magna Grecia che minacciava le terre dei Messapi.

Informazioni tratte da “LO SPAZIO SACRO” Pietro Scialpi, prefazione di Mons. Giuseppe De Candia.

Francesco Ligorio

Sono nato a Francavilla Fontana il 30/09/1999. Ho frequentato la scuola dell'infanzia presso l'asilo "Gianni Rodari" in Villa Castelli. Ho frequentato la scuola primaria presso il plesso "Don Lorenzo Milani" in Villa Castelli. Ho conseguito il Diploma di Terza Media presso l'Istituto Comprensivo "Dante Alighieri" in Villa Castelli. Ho conseguito il Diploma di Maturità Scientifica presso il Liceo Scientifico "F. Ribezzo" in Francavilla Fontana. Sono stato educatore presso l'Azione Cattolica della mio paese e ho lavorato presso il Centro Estivo "Robur Summer Camp". Ho avuto alcune esperienze come cameriere. Ho partecipato al Servizio Civile Universale al progetto "Agorà 2.0" promuovendo da sempre il territorio e la nostra cittadina. Attualmente studio presso la Facoltà di Beni Culturali all'Unisalento in Lecce. Gestisco le pagine social di Villa Castelli in Foto dal 2016 e dal 2021 faccio parte del blog LiCastelli.it Dal 2022 sono socio della Pro Loco di Villa Castelli. Amo la natura, la cultura, la fotografia, andare in bici, le tradizioni locali e tanto altro... Spero di avervi raccontato quasi tutto delle varie cose fatte fino a questo momento della mia vita. 😁😊👋🏻

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