Giuseppe Cantoro, Villa Castelli 02/05/1932 – Falegname: artigiano di altri tempi
Oggi vi raccontiamo la storia di un artigiano conosciuto da tutti in città per la sua manualità nella lavorazione del legno. Buon proseguimento con la storia inviataci da suo genero, il Prof. Sergio Costanzo.
Come tanti ragazzi, in quei tempi difficili iniziai a frequentare la scuola ma ben presto abbandonai per andare a “bottega”, per imparare il mestiere, da un falegname dell’epoca: Chirulli Paolo detto “Paolo di Vitazitǝ”.Non “mi dava niente” nemmeno delle feste natalizie . Lu meštrǝ (il maestro) mi disse ca putèvǝ šta addà (che potevo rimanere lì ) fino a quannǝ na mm’ imparävǝ (quando non imparavo il mestiere.)
Così rimanevo alla putèjǝ (bottega) fino a mezzogiorno e nel pomeriggio, verso le tre, potevo ritornare e restavo fino alle otto, ..,le dieci; fino a quando non ero stanco. Facevo alcuni lavoretti per mio conto: li trenǝlǝ (che cercavo di vendere nel periodo pasquale), quadretti, angolieri, cerchietti per il ricamo.
Un giorno fui chiamato da un altro falegname: Tommaso Camassa per aiutarlo per una settimana (avevo quasi 16 anni) . Accettai subito anche perché mi offrì una paga di 500 lire al giorno (erano soldi…’na settimänǝ tre mila lire!!! I lavori che aveva da consegnare per una giovane sposa (un comò ed un armadio) purtroppo non furono terminati nella settimana per cui il maestro mi trattenne ancora per un’altra settimana.
Nel frattempo la moglie di Cassese Luigi (gestivano un negozio di generi alimentari ) siccome sapeva che io facevo le “rizzette” mi chiamò e mi disse:
–Peppì m’a ffa’ ‘na crištallierǝ?
–mia risposta: – ca ccè ttegnǝ lu legnämǝ!! (non ho legname)
-la signora: ti lu dochǝ jiǝ lu legnämǝ . ( te lo do io il legname)
– io –Cè legnämǝ jietǝ? (che legmame è)
Erano casse per imballaggio del baccalà con dei piantoni intorno, da 8×8 per 80 di altezza. Da una prima e attenta valutazione vidi che potevo realizzare il mobile per cui accettai e alla richiesta del costo risposi con una somma che la signora accettò.Presi tutto il materiale (puzzava di baccalà) e lo portai nel piccolo trappitǝ di mio padre che nel vedere le casse esclamò: -Cè matonnǝ a ffà cu quiddǝ tàvǝlǝ?- Ed io: –agghjiǝ ffà ‘na crištallierǝ. (mio padre nel frantoio aveva un po’ di attrezzi perché anche lui aveva fatto il falegname in proprio fino a quando io avevo circa tre anni). Con tanto impegno mi misi a lavorare sulle “casse” per realizzare la cristalliera. Tanti amici di mio padre, nel sentire rumore in bottega gli chiedevano se fosse ritornato a fare il falegname tanto che uno di questi gli chiese se avesse potuto fargli “due porte”; mio padre accettò ma non perché doveva lavorare lui ma per affidare a me il lavoro.
Così un paio di giorni dopo ci recammo (con la corriera) a Brindisi presso un grande deposito di legname: Feltrinelli, ubicato vicino al mare. Scegliemmo con cura il legname che serviva ed acquistammo, sempre a Brindisi, in una ferramenta alcuni attrezzi che mancavano ed altri accessori. Intanto avevo ricevuto una commissione: fare una mattrabanca.
Cominciai a lavorare su di essa mentre mio padre cominciò a lavorare sulle porte dal momento che quel lavoro era un po’ difficile per me. Sapevo, comunque, che con il suo aiuto anch’io avrei fatto la mia parte nel lavoro: ricordo, infatti, che l’ultimo cuscinetto del portoncino l’avevo fatto quasi tutto da solo.Era tanta la precisione di mio padre nel lavoro che, ricordo, avevo terminato di fare la “mattrabanca” quando si avvicinò e mi disse: – Comǝ štè lu squadrǝ?- Ed io-buenǝ !- Non era così; notò circa tre millimetri di sfasatura tanto che smontò tutta la mattrabanca e la rimontò con precisione e mi disse : –Mu controllǝ lu squadrǝ!- Effettivamente tutto era perfetto.
Il falegname CANTORO era ormai ben noto a Villa Castelli: “erǝ pigghjätǝ piedǝ” ma , nel 1956 mio padre emigrò in Francia.Fu un momento triste per me poiché tutti i falegnami, con la partenza di mio padre, ripetevano : – Ca l’attänǝ sapevǝ fatià – Lu figghjiǝ na capiscǝ nientǝ!– (il padre conosceva il mestiere; il figlio non capisce niente).
La fatijǝ (il lavoro) cominciò così a mancarmi e cominciai a girovagare per il paese per trovare qualche soluzione. Sulla via per Ceglie di fronte all’attuale panetteria “voglia di pane” abitava Tommasino Giovane (campare di mio padre) che stava costruendo due stanze. La via per Ceglie era una strada importante per cui avvicinai Tommasino e gli dissi: – Uè nunnu Tumà, ci è lu piascèrǝ vulè fascevǝ lu purtoncinǝ a šta stanzǝ– In risposta –Ijǝ soldǝ na nni tegnǝ!- Ed io:- na tti preoccupä! quannǝ li tienǝ nu picchǝ di soldǝ, mi li dè; baštǝ mi paijǝ lu legnämǝ.
Tommasino accettò. A me quel lavoro serviva per dimostrare che il mestiere lo conoscevo. E così fu: il portone ammirato da tutti divenne oggetto di “passa parola” tanto che il lavoro ritornò ad essere più che sufficiente.
Ho continuato a fare il falegname per lunghissimi anni ed oggi il mio mestiere. IL FALEGNAME è con successo esercitato da mio figlio Antonio con la sua falegnameria “PROGETTO LEGNO” ed anche da mio nipote Giuseppe.
Ho continuato a fare il falegname per lunghissimi anni ed oggi il mio mestiere, IL FALEGNAME è con successo esercitato da mio figlio Antonio con la sua falegnameria “Progetto Legno” ed anche da mio nipote Giuseppe.