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Pezza Petrosa: la contesa Rudiae Tarantina, patria di Quinto Ennio e le ipotesi degli studiosi

COMUNE DI VILLA CASTELLI

Provincia di Brindisi

Assessorato alle Politiche Culturali

PEZZA PETROSA

Archeologia a Villa Castelli

tra curiosità e ricerca

a cura della Dott.ssa Grazia Angela MARUGGI

IL SITO NELLA TRADIZIONE LOCALE

La località di Pezza Petrosa, corrispondente sulla cartografia dell’I.G.M. al toponimo Pezza Le Monache, è ubicata lungo la strada provinciale Grottaglie – Villa Castelli e risulta interessata da un insediamento alquanto vasto, come documentano i numerosi rinvenimenti effettuati fin dagli inizi del ‘900, dei quali ci è pervenuta notizia sopratutto attraverso Ciro Cafforio, appassionato studioso locale, era grottagliese. Secondo il Cafforio il sito sarebbe stato abitato fin dall’età neolitica, a tale periodo risalirebbero infatti alcune sepolture con deposizioni plurime in posizione rannicchiata, caratterizzate da materiale ceramico e oggetti litici peculiari dell’epoca, nonché numerosi reperti in selce e sopratutto in pietra, tra cui accette, lisciatoi e raschiatoi, raccolti in gran quantità nell’area. La vita sarebbe continuata anche nell’età del bronzo e del ferro, epoca in cui la zona sarebbe stata assoggettata dai Messapi, per passare poi, in seguito alla fondazione di Taranto da parte degli Spartani, sotto l’egemonia culturale e politica di questa città, finché non fu conquistata dai Romani.Da questo momento sarebbe iniziata la sua decadenza fino alla definitiva distruzione, avvenuta intorno al 564 d.C durante le contese tra Goti e Bizantini.

L’antica città, secondo lo Studioso, sarebbe stata costituita da un’acropoli, dove era visibile il basamento di un grande tempio con battuto pavimentale in cotto, dedicato a Vesta o Estia (dea del focolare domestico, mantenere il fuoco acceso nel tempio cittadino) o a Priapo (simbolo dell’istinto sessuale e della forza generativa maschile), intorno alla quale vi era un’imponente cinta muraria, formata da una cortina interna di pietre informi  e una esterna, sita a m 7,50, di blocchi isodomici squadrati. A sud-ovest dell’acropoli si estendeva la città, priva di una cinta difensiva e della quale sarebbero rimaste a testimonianza numerose fondamenta di edifici e tante tombe sparse tutto intorno.

A sua volta Francesco Ribezzo, che aveva visitato la zona nel 1942 insieme al Soprintendente Ciro Drago, confermava la continuità di vita nel sito dall’età neolitica all’età imperiale romana, attestandone altresì la trasformazione da stazione dell’età del ferro in città messapica e affermando, tra l’altro, che se la città avesse avuto una cinta muraria; essa non avrebbe potuto coprire un diametro superiore ai duemilacinquecento metri.

Irrisoluta restava l’antica questione dell’identificazione nel sito dell’antica Rudiae, patria del famoso poeta Q. Ennio, identificazione caldamente sostenuta dal Cafforio e osteggiata, altrettanto vivacemente dal Ribezzo, il quale ne proponeva invece l’ubicazione a est del Comune di Francavilla Fontana, presso Masseria Guardiola.

Purtroppo i dati trasmessi e relativi alle varie scoperte non essendo stati supportati da indagini scientifiche, né da precise ubicazioni planimetriche, o dalla visione diretta dei materiali andati totalmente dispersi, contribuiscono soltanto a confermare l’esistenza nell’area di un insediamento, ma non forniscono gli elementi necessari, o perlomeno comprovati, per avanzare chiare ipotesi sul relativo inquadramento cronologico o sullo sviluppo topografico. Non si deve infine dimenticare che i continui lavori agricoli, connessi spesso a imponenti trasformazioni agrarie, nonché la perenne spoliazione dell’area, considerata fin dagli anni ’30 una miniera inesauribile di materiale archeologico e sopratutto litico (pietra lavorata), come indica chiaramente il toponimo, hanno contribuito a stravolgere le testimonianze archeologiche esistenti, distruggendo gran parte di quei ruderi imponenti, che già agli inizi del secolo erano ormai solo parzialmente visibili.

Testa muliebre sparita magicamente. Risale al III a.C. Rudiae Tarantina – Villa Castelli (BR). Al momento ci rimane solo questo scatto.

IL SITO NELLA RICERCA ARCHEOLOGICA

La Soprintendenza Archeologica della Puglia ha effettuato nell’area una prima campagna di scavo nei mesi di settembre e ottobre 1989, al fine di accertare la consistenza dei resti archeologici e di recuperare i primi dati scientifici sull’insediamento. L’indagine, pur non avendo evidenziato la presenza di strutture notevoli, aveva comunque confermato l’esistenza di un abitato di IV – III sec. a.C. , consentendo altresì l’individuazione di un setto murario orientato nord-sud, costuituito da pietre di piccole e di medie dimensioni alquanto irregolari, sistemate a secco. Un successivo, ma ben più rilevante intervento, condotto nei mesi di settembre-dicembre 1990, è stato determinato da imponenti lavori di trasformazione agricoli, che hanno messo in luce, danneggiandole, quattro tombe a fossa rivestite di lastroni a una tomba terragna. Questa seconda campagna di scavo, che ha interessato un nucleo di necropoli e una piccola area del relativo insediamento, ha permesso di acquisire i primi dati scientifici relativi al sito, ma ha sopratutto riproposto il problema della definizione e delle oscillazioni dei limiti della chora (polis) tarantina verso la Messapia. La zona, infatti, è sempre stata ritenuta sede di un insediamento messapico, solo ultimamente Felice Gino Lo Porto ha avanzato l’ipotesi della localizzazione nell’area di un centro greco, risalente alla prima metà del VI sec. a.C., e più precisamente di un piccolo avamposto fortificato, dislocato lungo i limiti orientali della chora tarantina.

I dati attualmente emersi dall’indagine archeologica sembrano in parte avvalorare quest’ultima ipotesi; nell’area indagata la frequentazione, attestata a partire dalla fine del V fino al III sec. a.C., evidenzia chiaramente, soprattutto attraverso la composizione dei contesti tombali, dove appare oltremodo significativa l’assenza di forme ceramiche tipicamente indigene, una strettissima affinità culturale con la vicina città di Taranto.

Stele Anepigrafe Ellenistica

LA NECROPOLI

Sono state individuate e scavate trentatré tombe, delle quali cinque del tipo a fossa ricavata nello strato tufaceo-sabbioso (11,24,25,28,33), una a fossa ricavata nel banco di cappellaccio e parzialmente costruita (8), una costituita da un’olla cineraria (10), e le rimanenti formate da una fossa rettangolare rivestita di lastroni squadrati in pietra carparo o calcarea locale, prevalentemente due per ogni fiancata e uno per testata. Solo in pochi casi le pietre di rivestimento si presentavano di dimensioni parte dei casi la copertura risultava costituita da due grandi lastroni perfettamente squadrati, spesso con dente di incastro e talvolta sagomati a doppio spiovente; la tomba 30 presentava invece quattro lastre regolari di notevole spessore, munite di incassi sui lati brevi e di anathyrosis sui lati lunghi, mentre la 13, in gran parte distrutta per l’impianto della 8, era ricoperta da lastre in terracotta. Ad eccezione della tomba 10, che costituisce l’unico esempio di incinerazione in olla, il rito funerario attestato è l’inumazione, con deposizione prevalentemente monosoma. Il defunto veniva deposto supino, con le braccia distese lungo i fianchi e probabilmente avvolto in un sudario, come farebbe supporre la perfetta connessione delle ossa, constatata in vari casi. Per quanto concerne l’orientamento esso non è costante, anche se appaiono per lo più utilizzati i due assi sud-nord e est-ovest, con capo posto rispettivamente a sud e a est. Le tombe 16, 18, 27 e 29 documentano altresì l’uso della polisomia, evidente attestazione dell’esistenza di vincoli parentelari o di appartenenza a uno stesso gruppo sociale degli individui inumati, legami questi che vengono in tal modo sottolineati anche oltre la vita. In due soli casi è attestata la parziale sovrapposizione, ottenuta tagliando le tombe più antiche con deposizioni più recenti a diversa quota; la tomba 8 ha tagliato la 13, della quale resta solo una testata, mentre la tomba 21 si è impostata sulla 24. I dati, relativi alle analisi antropologiche dei reperti ossei , dimostrano chiaramente un alto indice di mortalità in età adulta (anni 21-30) e, in proporzione inferiore, in età infantile (0-6).

I materiali rinvenuti documentano un uso dell’area sepolcrale tra la fine del V e il III a.C. Per la presenza di una lekythos a figure rosse stilisticamente vicina al Gruppo Intermedio. In un arco cronologico alquanto vicino, e precisamente nella prima metà del IV sec. a.C. , si collocano anche i contesti delle tombe 11 e 25. Il nucleo più consistente è comunque costituito da corredi che si inquadrano nella seconda metà del secolo (ad es. tombe 1, 3, 13-14, 20, 22-23, 26-27, 32), oppure tra la fine del IV e il III sec. a.C. (ad es. tombe 15-16, 18-19, 29).

Nell’ambito di questi due ultimi gruppi le classi maggiormente attestate sono la ceramica decorata in stile di Gnathia e quella a vernice nera. Presenti anche diversi reperti in metallo, tra i quali si segnala in particolare l’anello digitale in argento della tomba 32, lo specchio in bronzo decorato da cerchi concentrici incisi della tomba 32, lo specchio in bronzo, della tomba 23, del cui contesto faceva parte anche una notevole pelike decorata in stile di Gnathia con la figura di un eroe seduto su roccia.

Pelike ti tipo Gnathia che simboleggia Eros Alato.

L’ABITATO

A ovest della necropoli era ubicato l’abitato, interessato per il momento solo da saggi di scavo di limitata estensione, che hanno tuttavia evidenziato un notevole stato di degrado delle strutture a causa dei lavori agricoli, e i cui materiali non sono esposti in mostra. È stato messo in luce un imponente setto murario, pertinente probabilmente a una cinta difensiva, del quale resta, a livello di fondazione, una filare di grandi blocchi squadrati, lungo m 11,30, orientato, per il tratto rinvenuto, in senso nord-sud e sistemato in modo da sfruttare i lievi dislivelli del terreno. Su uno dei blocchi è ancora sistemato in modo da sfruttare i lievi dislivelli del terreno. Su uno dei blocchi è ancora visibile la linea di euthyntenria, tracciata per la posa in opera dell’assise relativa allo spiccato.

A questo muro si addossano, lungo il lato est, blocchi di dimensioni più piccole, posti a distanza regolare, da interpretarsi forse come gli ultimi residui dei setti trasversali di collegamento a una seconda cortina. Una verifica effettuata a sud, tra due blocchi trasversali, ha evidenziato la presenza sui due blocchi maggiori di alcuni incassi, due rettangolari e uno pressoché triangolare. Un termine cronologico alquanto importante è costituito dalle tombe 25 e 33, che sono state obliterate durante la costruzione del muro: i loro corredi ci forniscono un prezioso termine post quem per la datazione della struttura, La tomba 25 infatti, nonostante fosse stata manomessa, ha restituito uno skyphos a vernice nera inquadrabile nella prima metà del IV sec. a.C., periodo in cui si colloca anche il boccale a vernice nera della tomba 33, parzialmente distrutta proprio dalla posa in opera del muro. A nord-ovest del setto murario un consistente crollo di tegole ha evidenziato l’esistenza di un ambiente con un vano di cottura di cui restano, a livello di fondazione, quattro piccoli pilastrini in argilla cotta, presso i quali si sono rinvenuti alcuni contenitori acromi e numerosi frammenti di bronzo contorti, pertinenti a oggetti di tipo diverso, frammisti a una grande quantità di residui carboniosi.

Ringraziamo la Dott.ssa Grazia Angela Maruggi che ci ha lasciato qualche anno fa, per le informazioni e ricerche di scavo che ha eseguito nel nostro sito archeologico.

ANALISI ANTROPOLOGICHE

Dati relativi alle analisi effettuate sui resti ossei rinvenuti nella necropoli da Vito Scattarella, dell’Istituto di Zoologia e Anatomia comparata – Università degli Studi di Bari.

1.     Mortalità del campione di Pezza Petrosa

Età

 

(anni)

 

Numero decessi

 

%

 

decessi

 

Numero sopravvissuti

 

% sopravvissuti

 

Vita

 

media

 

0

 

0

 

0

 

37

 

100

 

26,5

 

5

 

6

 

16,3

 

31

 

83,7

 

26,1

 

10

 

1

 

2,7

 

30

 

81

 

25,9

 

15

 

0

 

0

 

30

 

81

 

25,9

 

20

 

3

 

8,1

 

27

 

72,9

 

24,5

 

25

 

3

 

8,1

 

24

 

64,8

 

22,7

 

30

 

4

 

10,8

 

20

 

54

 

19,7

 

35

 

14

 

37,8

 

6

 

16,2

 

7,7

 

40

 

3

 

8,1

 

3

 

8,1

 

4,6

 

45

 

0

 

0

 

3

 

8,1

 

4,6

 

50

 

1

 

2,7

 

2

 

5,4

 

3,3

 

55

 

0

 

0

 

2

 

5,4

 

3,3

 

60

 

0

 

0

 

2

 

5,4

 

3,3

 

 

 

65

 

2

 

5,4

 

0

 

0

 

0

Oltre ad alcuni articoli, relativi soprattutto a rinvenimenti tombali effettuati nell’area e pubblicati su vari numeri del Giornale La Voce del Popolo dell’anno 1933, notizie più dettagliate sul sito si trovano in: C. CAFFORIO, Preistoria di Rudia Tarentina, Taranto 1939; F. RIBEZZO, Nuove Ricerche per il Corpus Inscriptionum Messapicarum, Roma 1944, pp. 80-82.

Per ulteriore bibliografia cfr.: L. QUILICI-S. QUILICI GIGLI, Repertorio dei Beni Culturali Archeologici della Provincia di Brindisi, Fasano 1975, pp. 79-80, tav. P2. Per l’ubicazione nel sito di un phrourion greco, F.G. LO PORTO, Testimonianze archeologiche della espansione tarantina in età arcaica, in Taras X, 1, 1990, in particolare p. 93.

Per le notizie preliminari sugli interventi di scavo effettuati dalla Soprintendenza Archeologica della Puglia, A. COCCHIARO, Villa Castelli (BRINDISI), Pezza la Corte, in Taras VIII, 1-2, 1988, pp. 139-141 ; G.A. MARUGGI, Villa Castelli (Brindisi), Pezza Petrosa, in Notiziario delle attività di tutela 1990-1991, Taras XI,2,1991, pp. 284-286.

Un oggetto in particolare in cui si cela un mistero secondo alcune ipotesi dei ragazzi del Servizio Civile Universale, progetto “Agorà 2.0”, anno 2021-2022, è una lekythos a figure rosse risalente al 420-380 a.C. E di cui ogni visitatore e turista rimase sbalordito dalla bellezza e conservazione. Su questo reperto, sono raffigurati un uomo e una donna che secondo il mito di Omero Inno ad Afrodite (V), sono Afrodite sulla sinistra e Anchise sulla destra. La scena raffigurata è intima fra i due innamorati e si svolge all’interno di uno scenario mitologico. Sono entrambi in piedi uno di fronte all’altro e perlopiù sono scalzi, questo potrebbe far pensare al fatto che si trovano in un’abitazione privata.

Anchise con il petto giovane e scultoreo è quasi nudo, indossa solamente l’himation che porta semplicemente appoggiato sulla spalla e fatto ricadere sul fianco, poiché non richiede di essere fissato tramite una fibula; mentre Afrodite indossa il chitone, che aderendo perfettamente al corpo è fermato in vita da una cintura che crea una leggera custodia chiamata kolpos, che ne lascia trasparire tutte le forme; questo lascia oltre che alle braccia scoperte anche uno dei suoi giovani seni. Oltre al chitone la dea indossa anche alcuni ornamenti, fra cui una collana di perle. Anchise non ha la barba, simbolo della sua giovinezza, i capelli sono corti e acconciati “a giardino”, con i ricci che circondano la testa, sinonimo della cura che ha di sé. Afrodite, invece, ha lunghi capelli ricci che partono dalla fronte e arrivano raccolti sulla nuca, tenuti da un fermaglio/ghirlanda. Anchise impugna nella mano un bastone, poiché egli è il re pastore dei Dardani, nipote di Ilo e cugino di Priamo, re di Troia. Egli pascola i suoi buoi sulle alture del monte Ida ed è bello come gli immortali. Afrodite la dea della bellezza, dell’amore, della generazione, ha nella mano sinistra la magica cintura, l’elemento più importante della raffigurazione, che si accinge a far cadere nel braciere posizionato ai piedi dei due. La magica cintura forgiata da Efesto, il dio del fuoco e delle fucine, consente alla dea di far innamorare di sé chi vuole. Questa cintura, in verità, non ha un potere globale: non riesce ad influire sul giudizio di tre sole dee vergini: Atena, Artemide ed Estia. Ma Afrodite trionfa su tutti gli altri dèi e le altre dee. Benché Zeus, non si sia mai giaciuto con Afrodite, la magica cintura agisce subdolamente anche su di lui sottoponendolo a una tentazione continua e ad un susseguirsi di pensieri che il dio fatica a controllare. Per porre se non fine, almeno una pausa a questo imbarazzo, Zeus decide di punire Afrodite facendola a sua volta innamorare disperatamente di un mortale, ovvero di Anchise.

Una notte, mentre Anchise dormiva nella sua capanna di mandriano sul monte Ida, presso Troia, si sveglia e vede Afrodite. Si stupisce della sua bellezza, della sua statura e delle sue splendide vesti. Afrodite, appena lo vede, se ne innamora appassionatamente e decide di volersi dare completamente a questo irresistibile giovane. Anchise divampa d’amore e parla della dea. La saluta come un’immortale, le promette altari e sacrifici e la prega di proteggere lui stesso e i suoi discendenti. Afrodite ride di questa accorata sottomissione di Anchise, il quale non sa di essere davvero di fronte ad una dea. Afrodite perciò gli mente, affermando che no, non è una dea: è solamente una fanciulla mortale, figlia di un re frigio, che per ventura sa parlare anche la figura dei Troiani.

Secondo il volere degli dei l’uomo mortale giace dunque con la dea immortale, senza saperlo. Soltanto nell’ora in cui i pastori devono tornare, Afrodite risveglia il suo amante addormentato e gli si mostra nella sua vera figura e in tutta la sua bellezza; infatti, nella mano destra la dea stringe uno specchio, Anchise rimane atterrito quando incontra con lo sguardo i suoi begli occhi; volta la testa, si copre il viso e implora da lei salvezza, poiché nessun uomo mortale può sperare di essere e rimanere sano e salvo per il resto della sua vita, dopo aver dormito con una dea.

Afrodite lo rassicura dolcemente e fa ad Anchise i migliori vaticini per il figlio che lei ha con lui concepito e per tutti i suoi discendenti. La dea è disposta a rinunciare al suo divino talismano che le conferisce una potenza irresistibile, per concedersi unicamente al suo amato; infatti, sta per compiere il folle gesto di bruciarla.

Alcuni dei 200 reperti custoditi dal 2009 all’interno del Museo Archeologico di Villa Castelli.

Francesco Ligorio

Sono nato a Francavilla Fontana il 30/09/1999. Ho frequentato la scuola dell'infanzia presso l'asilo "Gianni Rodari" in Villa Castelli. Ho frequentato la scuola primaria presso il plesso "Don Lorenzo Milani" in Villa Castelli. Ho conseguito il Diploma di Terza Media presso l'Istituto Comprensivo "Dante Alighieri" in Villa Castelli. Ho conseguito il Diploma di Maturità Scientifica presso il Liceo Scientifico "F. Ribezzo" in Francavilla Fontana. Sono stato educatore presso l'Azione Cattolica della mio paese e ho lavorato presso il Centro Estivo "Robur Summer Camp". Ho avuto alcune esperienze come cameriere. Ho partecipato al Servizio Civile Universale al progetto "Agorà 2.0" promuovendo da sempre il territorio e la nostra cittadina. Attualmente studio presso la Facoltà di Beni Culturali all'Unisalento in Lecce. Gestisco le pagine social di Villa Castelli in Foto dal 2016 e dal 2021 faccio parte del blog LiCastelli.it Dal 2022 sono socio della Pro Loco di Villa Castelli. Amo la natura, la cultura, la fotografia, andare in bici, le tradizioni locali e tanto altro... Spero di avervi raccontato quasi tutto delle varie cose fatte fino a questo momento della mia vita. 😁😊👋🏻

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